Campli
La zona di Campli è abitata fin dall'antichità, tanto che nella frazione di Campovalano è presente una necropoli vasta circa 50 ettari e attraversata da una strada lastricata. Quanto sia importante lo si potrà capire dal fatto che a partire dal 1967 sono state scoperte oltre 600 tombe ma che si ritiene che nel sottosuolo ce ne siano almeno altre 20.000, datate dalla fine dell'VIII secolo a.C. agli inizi del II a.C. Alcune sono decisamente impressionanti, come quella contenente i resti di un importante guerriero, sepolto insieme a un carro da guerra (il tutto ricostruito ad arte nell'area archeologica, defunto, carro e reperti inclusi). L'area archeologica di Campovalano è aperta al pubblico con visite guidate, così come ovviamente è visitabile il Museo archeologico nazionale di Campli, sito nell'ex Chiostro di San Francesco e che espone moltissimi reperti.
Una curiosità attinente la necropoli: quando nel 1967 vi si effettuarono i primi scavi archeologici a opera della Soprintendenza, si notò la presenza di reperti relativi all'alimentazione dei piceni di millenni fa. Fra questi anche di maiali. Quella scoperta fu fortunata grazie anche alla presenza di gente in gamba che, partendo da una realtà scientifica, ebbe l'idea di coniare l'appellativo "Italica" per la porchetta di Campli, la cui sagra si svolgeva già da quattro anni. Del resto quello che sarebbe divenuto il territorio di Campli (come il resto d'Italia e buona parte del mondo allora conosciuto) venne poi assorbito dai romani che notoriamente erano dei bongustai e non disprezzavano affatto la porchetta arrosto, e in particolare quella locale visto che i maiali venivano massicciamente allevati allo stato brado grazie ai fitti boschi che davano – e danno – ghiande e faggiole a profusione. Fino a pochi decenni fa nei boschi della frazione Battaglia, sulle falde della Montagna di Campli, i maiali venivano allevati ancora allo stato brado e occasionalmente si accoppiavano (come si verificava anche nei tempi passati) con i cinghiali selvatici, oggi ancora più numerosi e persino invasivi. A proposito della Montagna di Campli (1721 m), con la Montagna dei Fiori (1820 metri, ma in territorio di Civitella del Tronto) viene chiamata in zona "I monti gemelli". E' un'area spettacolare per ricchezza naturalistica, culturale e storica e vi si organizzano escursioni anche in mountain bike. Le due montagne sono separate dalle suggestive Gole del Salinello. Una curiosità: grazie a queste montagne esisteva il commercio di... neve. Difatti nel '500, alcuni abitanti (detti appunto "nevaroli") della frazione di Battaglia di Campli, a dorso di mulo portavano la neve compressa ossia il ghiaccio fino al porto di Giulianova, dove veniva usato per la conservazione del pescato.
La porchetta a Campli rappresenta una cultura culinaria e si tramanda ininterrottamente attraverso le generazioni. Già nel XVI secolo era soggetta a severi controlli (la si faceva esclusivamente con giovanissimi maiali) e prima di essere venduta doveva essere valutata da una delle autorità, solitamente il Camerlengo, il quale ne stabiliva pure il prezzo. Ovvio che per fare questa valutazione il buon'uomo – a dimostrazione che certi politici da noi non sono mai mancati – dovesse obbligatoriamente riceverne una parte, ossia 300 grammi di porchetta (da ognuna delle porchette...). La Sagra della Porchetta Italica, fin dal 1964 divenuta un appuntamento da non perdere, è la manifestazione di maggiore successo di Campli, attirando in agosto circa 80.000 turisti. Ogni anno nell'ambito dell'evento viene scelto il Migliore Porchettaio d'Italia.
Campli nel Medioevo conobbe notevole sviluppo divenendo luogo d'incontro di pittori e artisti che ne impreziosirono i principali monumenti, dalla Cattedrale di Santa Maria in Platea (XIV secolo) alla Chiesa di San Francesco con convento attiguo, dal convento quattrocentesco di San Bernardino alla Chiesa dedicata alla Madonna della Misericordia. Tale sviluppo continuò nei secoli e basti pensare che Campli può vantare il più antico palazzo civico d'Abruzzo, costruito tra i secoli XIII e XIV. Campli nel 1538 passò ai Farnese, che con privilegi e aiuti beneficiarono la popolazione. Certo, non è che fosse tutto idialliaco, poiché non mancarono saccheggi, atti di brigantaggio e terremoti come quello del 1703. Nel 1734 Campli passò sotto i Borbone e giusto trent'anni dopo arrivò un'epidemia di tifo che fece tale strage da spingere la cittadinanza a chiedere l'intervento dell'Immacolata Concezione. Parrebbe essere stata una scelta giusta perché l'epidemia cessò quasi d'improvviso. Campli ha un bel centro storico, con il Santuario della Scala Santa, il Palazzo del Comune del XIV ma comunque chiamato anche Palazzo Farnese e che sorge di fronte alla coeva e spettacolare Cattedrale, ossia la Chiesa di Santa Maria in Platea (costruita su un'altra preesistente), il cui soffitto ligneo della navata mediana (difatti sono tre) è arricchito da varie tele di buona fattura del pittore di scuola napoletana Donato Deodori.
L'interno della Chiesa di Santa Maria in Platea.
Sotto l'altare maggiore, con accesso da ambo i lati, si trova un'antica e straordinaria cripta, divisa in cinque navate, con volte sostenute da colonne ottagonali e pareti decorate da un ciclo di affreschi quattrocenteschi (particolare quello raffigurante la Risurrezione, con il Cristo avente ancora i piedi nella tomba) attribuiti alla scuola giottesca e forse realizzati da Nicola di Valle Castellana, artista abruzzese allievo del grande senese Lorenzetti. A dire il vero erano affrescate anche le volte ma un incendio in tempi lontani cancellò quasi tutto. Ormai sono visibili solo quattro volti. La suggestiva cripta è la dimostrazione di quanto poco abbiano fatto politici e istituzioni abruzzesi per promuovere la regione per mezzo di film e sceneggiati televisivi, cosa invece avvenuta con grande successo in parecchie altre parti d'Italia. Il fatto è che chi di dovere se n'è frequentemente disinteressato e tuttora fa così, basti pensare che la Film Commission, creata appena nel 2004 per attirare e supportare produzioni cinematografiche e televisive, ha già cessato! E si consideri che i film girati in Abruzzo – in tutto l'Abruzzo e dal 1900 a oggi – sono ben meno di quanto si pensi, appena una cinquantina. Ossia oltre tre volte meno di quelli girati nella sola Viterbo. Fortunatamente alcuni (pochi) sindaci di ieri si erano invece dati da fare, e altri (di più) stanno cominciando a farlo da oggi.
La cripta della Chiesa di Santa Maria in Platea.
La cripta sotterranea – che altro non è che l'antica chiesa del Duecento, poi sovrastata dall'altra – è dedicata all'Immacolata Concezione. Ricordate l'epidemia di tifo descritta prima? Bene, in una piccola cappella attigua c'è appunto un dipinto raffigurante la popolazione camplese in ginocchio davanti alla Vergine portata in processione, cosa che in effetti avviene tuttora ogni 8 dicembre durante la Festa dell'Immacolata, quando la statua della Madonna viene portata nelle vie. La cripta fu ben restaurata non troppi anni fa e di sicuro potrebbe essere un magnifico set televisivo o cinematografico. Del resto la cripta di Campli non ha assolutamente nulla di meno di quella altrettanto bella della Chiesa di S. Pietro a Tuscania, con la differenza che in quest'ultima furono girate scene – solo per fare pochi esempi – di film quali The Tragedy of Othello: The Moor of Venice (1949) diretto e interpretato da Orson Welles, L'armata Brancaleone (1966) di Mario Monicelli e Romeo e Giulietta (1968) di Franco Zeffirelli. Vedi qui:
Se consideriamo che Campli nella storia dello spettacolo in Abruzzo ha un ruolo di primo piano – nel 1520 l'unico teatro (a Palazzo Farnese) in muratura esistente nell'intera regione era qui – ci si stupisce che, anche in virtù delle tante bellezze presenti e potenziali location (anche naturalistiche), non sia mai stata set di un film lungometraggio o di una fiction. Per la verità presso la Cattedrale furono fatte riprese di un film muto degli anni '20 ma se n'è perso il ricordo. A Campli visse per alcuni anni il regista Tonino Valerii, visto che la famiglia vi si trasferì quando lui era bambino (la madre era di Montorio al Vomano, il padre di Campli). Valerii, ora residente a Roma, si era fatto notare collaborando alla scrittura della sceneggiatura di Tutto è musica (1963), film autobiografico scritto, diretto e interpretato da Domenico Modugno. In seguito collaborò come assistente alla regia di Sergio Leone negli spaghetti-western Per un pugno di dollari (1964) e Per qualche dollaro in più (1965). Dal 1966 iniziò a dirigere suoi film, fra cui i cult I giorni dell'ira (1967) con Lee Van Cleef e Giuliano Gemma e Il mio nome è Nessuno (1973) con Henry Fonda e Terence Hill. Quest'ultimo risultò tra i primi tre incassi del 1973.
Tonino Valerii, Fulvio Morsella ed Henry Fonda sul set di Il mio nome è Nessuno.
Insomma, grazie a Valerii e ai suoi contatti Campli avrebbe potuto proporsi al mondo del cinema ma ciò semplicemente non avvenne, per ragioni ignote. Tuttavia Valerii ideò il Presepe Vivente di Campli (che ancora si tiene) e ci fece pure un ottimo documentario, Campli Catching Nativity (1982), con la sua regia e la scenografia di Umberto Turco. C'è però da dire che l'attuale amministrazione sta facendo molto per sviluppare il turismo e prendere i contatti con le produzioni cinematografiche e televisive. Grazie alla cortesia di Fabrizio Pedicone, di Campli Fotografie, ecco Campli Catching Nativity:
Dalla piazza Vittorio Emanuele si imbocca corso Umberto I, la via principale di Campli e che poco o punto è cambiata nei secoli, con la Casa della Farmacia e la Casa del Medico, la Chiesa romanica di San Francesco e l'adiacente ex convento ospitante, come già detto, il Museo Archeologico. Proprio dietro a quest'ultimo, in una viuzza, c'è l'edificio contenente la famosa Scala Santa, che ha le stesse prerogative di quella omonima di Roma, ossia la concessione dell'indulgenza plenaria. La fece costruire nel 1772 Papa Clemente XVI, il quale mise per iscritto – verba volant scripta manent, a scanso di equivoci, e specificando pure "Quanto stabilito ha da valere in perpetuo, in futuro, nonostante qualsiasi cosa in contrario" – che chi l'avesse salita per tutti i 28 gradini di legno, ma pregando, dolorosamente camminando sulle ginocchia e in presenza di vero pentimento, sarebbe stato automaticamente mondato da qualsiasi peccato per volere divino. Viene da pensare che, se ci avessero pensato prima, in tal modo si sarebbero potuti evitare i milioni di morti che in nome della fede fece in Europa la Santa Inquisizione, anche con la tortura. Difatti nella tradizione cristiana la Scala Santa rappresenta la scala effettivamente salita da Gesù per raggiungere l'aula dove avrebbe subito l'interrogatorio di Ponzio Pilato, per poi essere torturato e crocifisso.
La Scala Santa (foto Fabrizio Sagnani).
Fatto sta che la Scala Santa (per scendere, ma a piedi, si usa un'altra scala) vuoi per peccati veri vuoi per cautela, fu subito frequentatissima fin dalla sua apertura al pubblico nel 1776 (tanto che si dovettero aumentare le giornate di apertura), e così continua tuttora. In cima si trova il Sancta Sanctorum. L'hanno percorsa a ginocchioni umili e potenti, anche se riteniamo che alcuni di questi ultimi per essere mondati dai peccati abbiano dovuto fare su e giù parecchie volte... Limitrofa è la Chiesa di San Paolo, un tempo conosciuta, forse non a caso, come Chiesa della Madonna dei Sette Dolori.
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