Capalbio
Capalbio, al confine con il Lazio, oggi è conosciuto per le belle spiagge (12 km di lunghezza) e mare, ma fu per secoli territorio duro, povero, con paludi malariche e briganti che fino al XIX secolo imperversavano in zona grazie al fatto che era al confine fra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa. Quand'erano braccati in uno di questi, passavano in un attimo all'altro, infrattati fra le selvagge lande maremmane. A Capalbio c'erano gli edifici delle dogane pontificie, ossia il Palazzo del Chiarone, e ci sono ancora. Fanno parte del complesso di Palazzo Boncompagni, e non occupano certo poco spazio visto che si tratta di oltre un centinaio di saloni, sale, stalle, magazzini nonché prigioni in quanto di certo lo Stato della Chiesa non era né magnanimo né ben visto dai popolani. I suoi sgherri e soldati avevano pessima fama, così come gli esattori pontifici delle imposte. Ovviamente il tutto cessò con l'Unità d'Italia e oggi il complesso è in grave declino.
A Pescia Fiorentina, frazione di Capalbio, c'era un'altra dogana presso la Villa del Fontino, oggi ristrutturata e trasformata in residence agrituristico dove nel 2010 furono girate alcune scene della fiction televisiva Rai Il commissario Manara di Luca Ribuoli e con protagonista Guido Caprino. Lo sceneggiato, qui uno spezzone:
è ambientato in una località di finzione, tra Orbetello e il promontorio dell'Argentario, ma nella prima serie andata in onda nel 2009 le location furono anche quelle di Bracciano, Trevignano Romano e Anguillara. Nella seconda serie (andata in onda sempre su Rai1 nel 2011) invece furono tutte toscane, non solo Pescia Fiorentina e altre zone di Capalbio ma anche Orbetello, Magliano, Manciano, Ansedonia, Borgo Carige, Albinia, Talamone, Alberese, Porto Ercole, Porto Santo Stefano e Fonteblanda. Per capire com'era l'intero territorio di Capalbio basterà visitare la Riserva del Lago di Burano, la prima oasi (1980) gestita dal WWF. Occupa una superficie di 410 ettari, di cui 140 occupati dal lago salmastro costiero, separato dal mare da un doppio cordone di dune sabbiose. All'interno dell'area esiste ancora la seicentesca Torre di Buranaccio, oggi di proprietà privata ma occasionalmente visitabile durante le iniziative del WWF. In questa zona, nel bosco, vivono i tipici animali della Maremma come cinghiali, daini, istrici e quant'altro, incluse la testuggine e la tartaruga. Gli uccelli sono numerosissimi e ci sono anche quelli ormai molto rari come il falco di palude e il falco pescatore. Insomma, un Eden e prima la Maremma, sia toscana sia laziale, era tutta così.
La Torre di Buranaccio, nella Riserva del Lago di Burano
Prima si accennava ai briganti. L'ultimo capobanda della Maremma fu Domenico Tiburzi detto "Domenichino", che per 24 anni estorse denaro e ammazzò ma con l'accortezza di donare parte del bottino alla povera popolazione locale, che così lo apprezzava e proteggeva a mo' di eroe popolare tipo Robin Hood.
Il cadavere di Domenico Tiburzi
Del resto il "brav'uomo" aveva istituito una sorta di tassa sul brigantaggio che però dovevano pagare solo i nobili e i ricchi. Un'ottima pensata che gli garantiva simpatie dal popolo. Certo, erano altri tempi e altre situazioni, visto che oggi di briganti non ce ne sono più, a parte purtroppo non pochi politici italiani persino più grami. Dopo una lunga caccia serrata l'ormai vecchio Tiburzi finì ammazzato nel 1896 proprio a Capalbio dai carabinieri in un conflitto a fuoco, e poi legato a un albero, in piedi e con gli occhi aperti grazie a stecchini, e posto come un trofeo apparentemente ancora vivo e con tanto di fucile in mano. Allora si faceva così. Il resto della banda in pochi anni cessò di esistere. Il bello è che quando il parroco negò la sepoltura del brigante in terra consacrata, la gente si sdegnò e protestò, finché le parti decisero ognuna di cedere qualcosa. Difatti Tiburzi fu seppellito sul confine del cimitero, dove c'era appunto il cancello. Metà era dentro (le gambe), metà era fuori (il torso e la testa, dove secondo il prete albergava l'anima del brigante). A Domenico Tiburzi fu dedicato il film Tiburzi (1996), qui uno spezzone:
diretto da Paolo Benvenuti e girato alla Porta di Capalbio – il cui borgo storico è accessibile solo a piedi – nonché alla Roccaccia di Montauto del comune di Manciano, al Castello Orsini di Montalto di Castro e nel Viterbese.
Alla Torre di Buranaccio citata prima – nonché nei dintorni di Alberese, Parco naturale della Maremma, nelle Vie Cave (stretti passaggi scavati dagli etruschi tra altissime pareti rocciose di tufo) di Sovana, a Villa Torrigiani a Lucca e nella Rocca sforzesca di Dozza – fu girato l'appena passabile Domani accadrà (1988), qui uno spezzone:
di Daniele Luchetti, che racconta le vicissitudini dei due butteri Lupo e Edo, rispettivamente interpretati da Paolo Hendel e Giovanni Guidelli. Il film dell'allora esordiente Luchetti tuttavia vinse quello stesso anno il David di Donatello per il Miglior film esordiente e ottenne una menzione Caméra d'or al Festival di Cannes. La "stoffa" del resto c'era: Luchetti poi diresse, fra gli altri, Il portaborse (1991), Mio fratello è figlio unico (2007) e La nostra vita (2010).
Paolo Hendel e Giovanni Guidelli in Domani accadrà
A Capalbio furono girati anche il non eclatante Eros (2004) – la parte diretta da Michelangelo Antonioni, qui uno spezzone:
essendo un film collettivo diretto anche da Steven Soderbergh e Wong Kar-wai – citabile soprattutto perché fu l'ultimo suo film. Antonioni nel 1994 aveva inaugurato il Capalbio Cinema International Short Film Festival, che da allora promuove il cortometraggio d'autore italiano e internazionale. A Capalbio furono pure girati in parte l'ancora meno eclatante, molto meno, film di fantascienza Il seme dell'uomo (1969), qui uno spezzone:
di Marco Ferreri e il discreto C'era un castello con 40 cani (1990), qui il film completo:
di Duccio Tessari, storia di un manager milanese che eredita un castello in Toscana con due cani, in rapido aumento numerico, e che finirà per innamorarsi di quel luogo e di quella vita. Il film fece abbastanza rumore, non tanto quanto a successo di botteghino ma per via dei 62 cani utilizzati nel film e messi a disposizione dal bravo addestratore Massimo Perla. Difatti i cani erano 62 e non "solo" 40 perché gli animali, giustamente, sul set si stancano pure loro. Perla raccontò: "Per C’era un castello con 40 cani di Duccio Tessari sono arrivato sull’orlo dell’esaurimento nervoso. Un anno di riprese con 62 cani al seguito fra Carsoli, Arsoli, Capalbio e Roma. Erano 62 e non 40 perché ci vogliono sempre le riserve. Il pastore tedesco della serie Il commissario Rex non è uno, sono tre, ma non si deve dire. Il regista inizialmente s’era affidato all’animalaro che aveva fornito gli esemplari per ben 17 film della serie di Zanna Bianca. Non funzionò. Fui convocato in seconda battuta. Dopo qualche giorno la troupe era sbalordita, dicevano Nun se po’ lassà a casa li attori e far tutto co’ li cani?"
Location in Toscana
Buone & Cattive nuove
