Una vita difficile
In una delle ultime interviste rilasciate, prima di morire nel febbraio del 2003, Alberto Sordi fece presente che tra le decine e decine di personaggi cinematografici ai quali aveva dato vita era particolarmente legato a due di essi, per la precisione a quello di Giovanni Vivaldi, protagonista de Un borghese piccolo piccolo di Mario Monicelli, e a quello di Silvio Magnozzi, l'indimenticabile protagonista de Una vita difficile di Dino Risi. Quest'ultimo film, del 1961, oltre ad essere una delle pellicole più intense, struggenti, amare del regista milanese, è stato anche incluso nei cento capolavori da salvare del cinema italiano.
Un film imprescindibile per comprendere che cos'è stata l'Italia del secondo dopoguerra, con il periodo della ricostruzione, del boom economico, del malaffare politico e sociale, l'Italia dei tanti sogni che si sono trasformati esemplarmente in altrettante illusioni con le quali, negli ultimi decenni, è stata lastricata la desolante realtà attuale di questo Paese. Tutto ciò attraverso l'epopea di un personaggio, quel Silvio Magnozzi ricordato con tanta nostalgia da un Alberto Sordi ormai sul viale del tramonto della vita, che rappresenta una delle icone insostituibili, irrinunciabili di tutta la storia del cinema italiano. Magnozzi è un ex partigiano comunista, un idealista, con un senso etico incrollabile, votato a una condotta irreprensibile che si manifesta nel suo sogno di essere un giornalista incorruttibile, sempre pronto a puntare il dito e accusare il dilagante malcostume della politica italiana che si sporca sempre più le mani in affari poco leciti.
Silvio Magnozzi accompagna lo spettatore dagli anni della guerra, quando Elena, quella che diventerà sua moglie (interpretata da una splendida Lea Massari), lo salva sul Lago di Como da un tedesco che sta per fucilarlo, fino all'inizio degli anni Sessanta, quando l'Italia è ancora pregna dell'illusorio boom economico, con il povero giornalista, vessato factotum del potente affarista senza scrupoli commendator Bracci (reso in modo mirabile da un altro grande attore, Claudio Gora), del quale si vendica buttandolo nella piscina della sua villa, con un poderoso e ben assetato ceffone sul viso. Nel mezzo di questi episodi, iniziale e finale, scorre l'intreccio della trama, sagacemente delineata e dipanata da quell'eccelso sceneggiatore che è stato Rodolfo Senego – autore, tra l'altro, anche della sceneggiatura di un altro leggendario film di Dino Risi, Il sorpasso –, che ci mostra il nostro eroe alle prese con l'amara realtà quotidiana che non sa che farsene dei suoi principi etici. Come nel caso della suocera Amalia (interpretata da Lina Volonghi), che cerca in tutti i modi di convincere il cognato a sistemarsi nell'agognato "posto fisso" a Cantù, dopo aver conseguito la laurea in architettura. Emblematica la patetica scena dell'esame universitario, nel quale il protagonista cerca di svicolare dalla domanda "facile" posta dal professore inerente al coefficiente di sicurezza del cemento precompresso. Vedi qui:
Da segnalare anche l'imbarazzata cena di Silvio ed Elena in compagnia di una famiglia di aristocratici e monarchici, interrotta dai risultati del referendum che sancisce la nascita della repubblica. Vedi qui:
così come la scena di Viareggio (in realtà girata lungo l'Aurelia a Marina di Massa), dove Magnozzi, ubriaco fradicio, dopo aver cercato la moglie, in compagnia del suo amante all'interno di un locale notturno, sputa su tutte le automobili che gli capitano a tiro sulla strada. Vedi qui:
Ma le scene più epiche, quelle che danno la misura della fragile ma incrollabile correttezza e integrità morale dell'ex partigiano che ha un sogno nel cassetto, quello di scrivere un giorno un romanzo autobiografico intitolato "Una vita difficile", sono quelle ambientate a Villa Fiorio di Grottaferrata, sui Castelli Romani. Questa splendida magione, posta in una traversa di viale Kennedy, trasformata negli anni Cinquanta in un albergo e ristorante di lusso, nel film è la dimora dell'arrogante e arrivista commendator Bracci (curiosamente a quell'epoca Claudio Gora abitava in via della Cipriana, proprio a un passo da Villa Fiorio), il quale è a capo di un impero editoriale e può vantare amicizie potenti e altolocate, simbolo di quella corruzione e quel malaffare figli della nuova società del "benessere" e del boom economico. La piscina di Villa Fiorio è il luogo dove si svolge l’incontro tra il commendatore, il suo avvocato e il protagonista, con l’editore che cerca di dissuadere l'onesto e caparbio giornalista dal pubblicare un articolo compromettente su di lui, offrendogli in cambio una consistente somma di denaro. Di fronte a tale profferta, Magnozzi rifiuta sdegnosamente, ma tradito dai suoi colleghi pusillanimi, dopo la pubblicazione di quel servizio, viene condannato per diffamazione. Vedi qui:
E sempre la piscina e i lussuosi saloni interni di Villa Fiorio sono le location della celebre sequenza del ricevimento di gala, con la quale si conclude il film di Risi. Ormai resosi conto che deve mettere da parte i suoi sogni di gloria pur di riavere al suo fianco la moglie e per dare un futuro migliore a suo figlio, Magnozzi alla fine accetta con riluttanza e rabbia il posto di segretario tuttofare dello stesso commendator Bracci. Vessato, umiliato, perfino davanti alla moglie che assiste impotente nel corso della serata, il protagonista giunge al punto di farsi spruzzare in faccia dal suo datore di lavoro un sifone del selz. Ma con un'ultima impennata di orgoglio, conscio che sta per buttare alle ortiche quella tranquillità sociale ed economica così fortemente voluta dalla sua famiglia, decide di vendicarsi. Dopo aver raggiunto il commendatore, che si sta intrattenendo con un cardinale ai bordi della piscina, gli sferra un fenomenale schiaffone, che lo fa scaraventare in acqua sotto gli occhi di tutti i presenti. Vedi qui:
A livello di curiosità, questa stessa scena è stata ripresa, ma in un'altra location, nel 1983 dal regista Bruno Cortini nel film Sapore di mare 2. Vedi qui:
Una vita difficile rappresenta un tipico esempio di come una colonna sonora o, quantomeno, la presenza musicale non rappresentano un elemento cardine, un fulcro sonoro che determina un punto di svolta, un'accelerazione dell'intreccio, il rimarcare un aspetto psicologico o narrativo. No, le musiche del torinese Carlo Savina, uno dei più apprezzabili musicisti per il cinema, autore di più di duecento colonne sonore e apprezzato direttore d'orchestra – fu lui a dirigere le musiche di Nino Rota per i film Prova d’orchestra e I clowns di Fellini –, rappresentano la cornice, a volte ironica, a volte patetica, a volte drammatica, di quanto stanno vivendo e provando in quel momento i protagonisti della pellicola. Un esempio emblematico è dato dalle ultime inquadrature della pellicola, quando Silvio Magnozzi, dopo aver scaraventato il commendatore in piscina, lascia Villa Fiorio con la moglie al suo fianco. Un semplice tema dato dall'organo elettrico, scanzonato e ironico, viene ripreso e ampliato con slancio dagli archi orchestrali che hanno il solo scopo di far comprendere allo spettatore come la coppia abbia ritrovato l’armonia e l'unione di un tempo. Li attende, ancora una volta, una "vita difficile", ma questa volta saranno pronti ad affrontarla tenacemente insieme.
Il direttore d'orchestra Carlo Savina.
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