Un ricordo personale di Anita Ekberg
Di Andrea Bedetti.
Anita Ekberg
È uno di quei ricordi che non si possono dimenticare. Fu all'inizio di gennaio del 2012 quando, per motivi personali, mi recai in visita a una casa di cura alle porte di Roma, a Rocca di Papa, sui Castelli Romani. Giunto al piano, percorsi un corridoio e la mia attenzione fu attirata da una signora anziana su una sedia a rotelle affacciata alla porta della sua stanza. Vestita con un'elegante vestaglia e con un trucco distinto e delicato che le illuminava il viso, mi resi subito conto di chi fosse. Era Anita Ekberg, la quale da diversi anni era ospite di quella struttura sanitaria, ridotta su una sedia a rotelle visto che il bacino e le gambe non riuscivano più a sostenere il peso del suo corpo. Lei, la "regina della dolce vita", colei che aveva fatto impazzire uomini a profusione, che aveva avuto due mariti facoltosi, Anthony Steel e Rik Van Nutter, e che aveva rifiutato di sposare Frank Sinatra, colei che aveva fatto innamorare Dino Risi e che aveva avuto una segreta storia d'amore con l'avvocato Agnelli ("l'unico uomo che abbia mai veramente amato in vita mia, il più importante", come ammise lei stessa) era ormai ridotta all'indigenza, al punto che era stata costretta a chiedere un aiuto alla Fondazione Fellini. Ora quella donna, ormai minuta, con i segni del tempo che le segnavano nobilmente il viso, era davanti a me. Mi fermai e le sorrisi. Lei fece lo stesso con me. D'istinto le presi una mano e, stringendogliela dolcemente, le dissi in inglese: "Nessuna è mai stata come lei: indimenticabile". Gli occhi le si velarono di lacrime e strinse forte la mia mano. Le mormorai un saluto e andai via.
A tre anni esatti da quell’incontro fortuito, Anita Ekberg ci ha lasciato, chiudendo gli occhi in quella casa di riposo, lontano dal clamore della notorietà, dal ciak dei set cinematografici, dai ritrovi e appuntamenti mondani, lontana da quella Roma della "Dolce vita" che ormai non sa più che cosa sia stata quella vita, a dir poco irripetibile. Se ne è andata in punta di piedi, in silenzio, con delicatezza, custodendo gelosamente i suoi tanti ricordi, i suoi film, la sua fortuna di "maggiorata" di quell'epoca, per raggiungere Federico Fellini, con il quale, ne sono sicuro, non mancherà di farla recitare anche lassù in una pellicola intitolata "Eternità". Noi, di Cinema&Turismo, la vogliamo ricordare così:
Ma Anita Ekberg non è stata la sola a chiudere la porta alla vita. Altre due stelle di prima grandezza del cinema nostrano ci hanno lasciato nei giorni scorsi: Francesco Rosi e Virna Lisi. Del primo, maestro assoluto di quel genere cinematografico chiamato "film d’inchiesta", autore di capolavori straordinari come Le mani sulla città, Lucky Luciano, Il caso Mattei, Uomini contro, Cristo si è fermato a Eboli, non si può tacere lo straordinario rapporto professionale e d'amicizia che ebbe con un grande attore che se ne è andato troppo presto, Gian Maria Volonté, con il quale realizzò le sue pellicole più celebri.
Venezia, 1970. Secondo da sinistra Francesco Rosi, con i baffi Gian Maria Volonté.
Proprio in una delle ultime interviste da lui rilasciate, meno di un anno fa, Rosi descrisse il suo rapporto con l’attore milanese, raccontando alcuni gustosi aneddoti. "Gian Maria era davvero un 'mimetista', era alla ricerca continua del dettaglio" - raccontò Rosi in quell'occasione - "Ne Il caso Mattei, durante la sequenza in cui il presidente dell'Eni si sveglia in un albergo dopo una notte insonne e scende nella hall, notai che Gian Maria camminava con i piedi piatti. Così controllai le foto di Mattei, e vidi che in una aveva i piedi sistemati come se li avesse piatti. Sul set di Lucky Luciano, invece, una mattina Gian Maria mi sorrise e io capii che aveva un'altra bocca, completamente diversa, perché si era fatto fare un’applicazione speciale dal dentista. Così, quando in una scena una bimba chiede: Sei Lucky Luciano?, lui sorride ed esce fuori con un ghigno terribile". Vedi qui:
E poi Virna Lisi, colei che disse no a Hollywood, pur di non lasciare l'Italia, gli affetti e la sua Roma (mi chiedo quante altre attrici, soprattutto di oggi, sarebbero capaci di fare una scelta così coraggiosa). Ma Virna, oltre ad essere una diva, non dimenticò mai di essere anche una donna capace di affermare "È arrivata l'età delle rughe? Pazienza. Le rughe rappresentano il passato di ciascuno, e fanno parte della vita", oppure, ricordando la sua esperienza nel cinema americano, "I film a cui partecipavo incassavano molto e io ero prigioniera dell'allucinante logica degli Studios. Gabbia dorata, parrucchieri al seguito, autisti, lusso e isolamento. Non potevo andare neanche al supermercato". Da quella gabbia dorata ci pensò il marito, Franco Pesci, a farla uscire con uno stratagemma. "Avrei dovuto interpretare Barbarella per la regia di Roger Vadim, ma dei ruoli da bellona svampita, di dire buongiorno e buonasera in una lingua che non conoscevo e dei ritmi deliranti imposti dalla major non ne potevo più", ha raccontato poco prima di morire Virna Lisi.
Virna Lisi
"Non mi divertivo. Così dissi no e con gli americani iniziò la rumba. Riunioni, minacce legali, avvocati sul piede di guerra. All'ennesimo consesso aspro, Franco vide una foto sul tavolo del produttore. Una bella famiglia. Moglie, bambini, scenari campestri sullo sfondo. Gli venne l'idea e parlò. "Io e mia moglie vogliamo tre figli, ne abbiamo solo uno e da stasera stessa cercheremo il secondo". I produttori americani sbiancarono. La discussione si era spostata sull'unico piano che li terrorizzasse davvero. Restare incinta significava rinunciare all'attrice e interrompere la produzione per molti mesi. Così mi liberarono e scelsero Jane Fonda". Virna Lisi e un fascino tempo: basta rivedere alcune scene di un film del 1982, Sapore di mare, nel ruolo di una donna matura, ancora bella e insoddisfatta, per rendersi conto di che cosa ha perso la vita e il cinema con la sua morte. Vedi qui:
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